Focus ON - Tessile e Abbigliamento: Bello e ben fatto!
Secondo il World Economic Forum, nel 2025 la classe media supererà, per la prima volta, i quattro miliardi di individui e, insieme anche alle fasce più abbienti, consumerà oltre $60 miliardi ogni anno. A dispetto di una crescita economica globale in rallentamento, la tendenza non è destinata a interrompersi: si stima che un altro miliardo di persone entrerà a far parte della classe media entro il prossimo decennio.
A una classe media globale che continua a espandersi corrisponde una crescente aspirazione. Ed è proprio l’aspirazione a fornire la spinta propulsiva alle vendite delle eccellenze italiane, fondate su una continua ricerca della qualità e della bellezza. In questo tipo di produzioni – quelle del “Bello e ben fatto” (BBF) – risiede la chiave del successo dell’export italiano negli ultimi decenni. Con una crescita in media nell’ultimo decennio del 7% annuo, la dinamica esportativa dei beni del BBF ha sistematicamente superato quella complessiva (+4,7%) raggiungendo il valore di €170 miliardi nel 2024, grazie a un alto livello di specializzazione produttivo.
Il connubio tra qualità e creatività, che caratterizza il BBF, è l’anima delle produzioni di tessile e abbigliamento Made in Italy. I grandi marchi italiani mantengono una posizione dominante, grazie all’immagine consolidata di prestigio e status symbol. Il Sistema moda resta un settore di rilevanza strategica per l’economia italiana. Con un giro d’affari di quasi €100 miliardi prodotto da 53mila aziende (di cui 9.500 PMI), l’industria del T&A produce €30 miliardi l’anno in termini di valore aggiunto, contribuendo direttamente all’1,4% del PIL. A ciò si aggiungono altri €38 miliardi di impatto indiretto lungo le filiere coinvolte e poco meno di €9 miliardi di indotto, per un contributo complessivo al PIL del 3,9%. Il settore impiega 110mila persone, impiegati in larga parte nei trentasette distretti industriali che costituiscono la spina dorsale della filiera.

Il settore, nei suoi tre comparti principali (tessile-casa, abbigliamento, calzature e pelletteria), presenta una spiccata vocazione all’export: circa due terzi della produzione italiana viene venduta all’estero, con punte dell’86% per la pelletteria. La moda contribuisce al 10% del nostro export, per un valore complessivo di €62 miliardi, portando l’Italia al terzo posto per esportazioni di tessile e abbigliamento, con una quota di mercato globale prossima al 6%. Sebbene i numeri confermino l’importanza del Sistema Moda per l’economia italiana, la debole dinamica esportativa degli ultimi quindici anni e la congiuntura globale sfavorevole tratteggiano un quadro con alcune ombre. Le esportazioni italiane di prodotti tessili sono cresciute, nell’ultimo decennio, a un tasso medio annuo del +3,1% (vs +4,7% complessivo).
Tra i comparti, solo pelletteria e pellicceria – che contribuisce al 19% delle vendite del settore – ha registrato una dinamica superiore rispetto al resto del Made in Italy, mentre il tessile-casa ha visto una sostanziale stagnazione. Per tutti i comparti, l’ultimo anno è stato negativo (-4,8%), con una flessione particolarmente marcata per calzature e pelletteria (-8,6%; Fig. 1).

I dati dei primi sette mesi dell’anno stanno confermando il trend negativo per tutti i comparti. Dopo un anno e mezzo “in rosso”, sia per l’export che per l’indice della produzione industriale, gli ultimi mesi lasciano sperare in un’inversione di tendenza, con le esportazioni tornate a crescere a luglio (+1,9%) seppure il bilancio sull’anno resti negativo (-2,9%), penalizzato soprattutto dal comparto della pelletteria.
La Francia è la prima destinazione delle vendite di moda, con una quota di oltre il 14% grazie al suo ruolo di casa madre di diversi marchi di lusso che hanno sedi produttive nel nostro Paese. Altri rilevanti mercati sono Germania, Stati Uniti, Cina e Spagna ma vi sono diversi Paesi meno presidiati dove le imprese italiane di moda possono cogliere nuove opportunità. In primis Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Corea del Sud che apprezzano sempre di più la qualità e il pregio dei prodotti di alta gamma Made in Italy. Il Marocco, invece, è un rilevante produttore di tessile, dove l’interesse per la moda italiana è atteso crescere, soprattutto per fasce più premium o di nicchia della popolazione. Rabat può, inoltre, rappresentare un ponte strategico tra l’Europa e l’Africa per le vendite di T&A, grazie anche alle partnership originate dalle iniziative sotto il cappello del Piano Mattei. L’aumento del reddito disponibile e della classe media e una maggiore attenzione alla qualità sono i principali fattori di spinta della domanda in mercati emergenti come Thailandia e Brasile. Inoltre, con l’accordo UE-Mercosur, potrebbero crearsi ulteriori opportunità commerciali, grazie alla riduzione delle elevate tariffe a oggi in essere sulle nostre vendite di moda.
La dinamica del settore sta scontando la fase di profonda trasformazione legata ai cambiamenti strutturali in corso. La concorrenza del modello “fast-fashion”, basata sul consumo di capi di bassa qualità per una sola stagione e sulla revisione costante dell’offerta per intercettare le ultime tendenze, erode quote di mercato a un’industria italiana che fa dell’artigianalità e della durabilità la propria bandiera. Proprio la debolezza della domanda di beni di lusso ha impattato sulla performance del cluster delle grandi imprese che si è propagata all’interno della filiera, causando un impatto negativo fra le PMI e i grandi operatori. I cambiamenti delle preferenze e delle abitudini dei consumatori tra le diverse generazioni – tra cui la crescente sensibilità alle tematiche ambientali a cui la moda è fortemente esposta – impongono al settore di ripensare il proprio modello di business. Investire in sostenibilità ed economia circolare permette alle imprese di diventare più competitive, riducendo i costi e ottimizzando le spese. Questo è possibile mediante investimenti nella produzione di energia rinnovabile per soddisfare il bisogno energetico aziendale, nella maggiore efficienza tramite l’impiego di macchinari avanzati e il ricorso al riuso e il riciclo dei prodotti, sia delle materie prime sia dei beni finali. La rivoluzione digitale, infine, ha trasformato le fasi di produzione e i canali di vendita, aprendo nuove opportunità e mercati, ma creando anche sfide significative: dagli investimenti necessari, ingenti per le realtà mediamente piccole che popolano il settore, alla crescente concorrenza sul mercato italiano delle produzioni estere a minore valore aggiunto. L’adozione di IA, Internet of Things e modellazione 3D rende i processi produttivi più efficienti, riducendo sprechi, tempi e costi. Tecnologie come blockchain e RFID migliorano la tracciabilità e la gestione dell’inventario, mentre l’analisi dei Big Data consente di sviluppare soluzioni innovative e prevedere trend di consumo. Anche l’esperienza d’acquisto si sta evolvendo rapidamente, grazie a strumenti digitali come camerini virtuali, specchi intelligenti ed Extended Reality, che integrano dimensione fisica e digitale, arricchendo la relazione tra consumatore e brand.
A tali criticità si aggiunge una congiuntura complessa. Le tensioni commerciali hanno, da un lato, alzato le barriere all’ingresso negli Stati Uniti, principale mercato di destinazione al di fuori dell’UE. Dall’altro, contribuiranno a intensificare gli effetti negativi della sovraproduzione cinese, mettendo a rischio gli spazi per il Made in Italy in tutti gli altri mercati. Da questo punto di vista, le produzioni italiane di tessile e abbigliamento godono, da un lato, della limitata elasticità della domanda al prezzo, tipica dei beni di alta gamma; dall’altra, l’elevata diversificazione, sia in termini di mercati di destinazione che di prodotti venduti, è un’importante chiave di resilienza dell’export (Fig. 2).

Una strategia di sviluppo per le imprese italiane di T&A è puntare al consolidamento del settore, per andare oltre la polarizzazione tra marchi di fascia alta e operatori minori. Tale scopo può essere raggiunto rafforzando la collaborazione tra aziende: questo è il caso dei contratti di rete, veri e propri accordi tra due o più imprese che intendono realizzare progetti e obiettivi condivisi, incrementando la capacità innovativa e la competitività sul mercato. Ad oggi, queste iniziative non sono particolarmente diffuse nella filiera della moda italiana, poiché solo l’1,6% dei contratti in essere (quasi 7.800) vede la partecipazione di un’impresa di questo settore. Instaurare tali sinergie permette alle imprese, tra i numerosi vantaggi, di rafforzare i propri processi e attuare strategie di internazionalizzazione .
SACE ha recentemente sostenuto diverse iniziative strategiche a favore di imprese italiane attive nel settore del tessile e abbigliamento, promuovendo innovazione, sostenibilità e internazionalizzazione. Un primo esempio è la garanzia concessa a un finanziamento a favore di Primadonna, marchio di moda femminile, volto a sostenere l’espansione della presenza dell’azienda in mercati strategici quali Serbia, Vietnam e Indonesia. Altro caso è quello del supporto al Gruppo Ciro Paone, proprietario di diversi marchi di abbigliamento di alta gamma (tra cui Kiton) ed eccellenza della sartoria italiana nel mondo. L’intervento di SACE ha permesso il potenziamento del reparto logistico per sostenere la crescita dei volumi, dando anche maggiore centralità alle linee di prodotto femminili, l’apertura di nuovi negozi diretti e il rinnovamento degli spazi di vendita. Inoltre, il Gruppo adotta una strategia industriale focalizzata sull'efficienza energetica e sulla sostenibilità ambientale: tra le iniziative, infatti, c’è anche l'installazione di un impianto fotovoltaico in uno stabilimento per aumentare autoconsumo e autonomia energetica nei prossimi anni.
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