Rapporto Export 12 marzo 2014

RE-think | Rapporto Export 2014-2017

Esportare non è solo varcare i confini nazionali. È ripensarsi come impresa: proiettarsi in una dimensione globale per andare oltre le destinazioni tradizionali. In questa sfida, la qualità Made in Italy è un punto di partenza importante. Ma la battaglia della competitività si gioca con strategie nuove, anche finanziarie, in cui la capacità di (ri)adattarsi è requisito essenziale per crescere. È pronta dunque, l’Italia, a esportare davvero? Su questo e altro s’interroga il Rapporto Export 2014 di SACE.
  • Top market 2014-17: nonostante le discontinuità, si confermano gli emergenti i mercati a maggior potenziali di export: Cina (+11,2%), Russia (+10,5%), Arabia Saudita (+9,2%) e Brasile (+9,1%). Il mercato comune europeo non è più “estero”

  • Top sector 2014-17: Sul podio, con tassi di crescita superiori all’8%, l’export dei comparti della filiera agroalimentare (alimentari, bevande e beni agricoli) e quello del Made in Italy tecnologico (apparecchiature elettriche, meccanica strumentale)

 

Un mercato interno ancora anemico, nuove destinazioni da raggiungere e nuove strategie per conquistarle: a sei anni dallo scoppio della crisi che ha scosso le fondamenta dell’economia mondiale, RETHINK, l’ultimo Rapporto Export di SACE, rilegge in chiave evolutiva il percorso avviato dalle imprese italiane per reagire alle difficoltà, non solo congiunturali, e tornare a crescere, riposizionandosi su nuovi mercati. Un percorso in cui la capacità esportativa si è confermato il driver fondamentale di un processo di “selezione naturale” delle nostre imprese.

 

Quale dunque l’identikit del nuovo export italiano forgiato dalla crisi? Quali le prospettive, i mercati di riferimento, i settori di punta? Quali le direttrici da perseguire nel medio-lungo termine? È a questi interrogativi che risponde il Rapporto di SACE, con le previsioni sulle esportazioni italiane per il periodo 2014-2017. Di seguito i principali risultati, presentati oggi a Palazzo Mezzanotte, in collaborazione con Borsa Italiana, di fronte a una platea di 300 rappresentanti del mondo imprenditoriale e bancario.

 

Prospettive del nuovo export: risalita ad ostacoli

L’export italiano torna ad aumentare il passo e, dopo la performance pressoché stagnante nel 2013 (-0,1%), si prepara a mettere a segno un +6,8% nel 2014, accelerando il ritmo fino a raggiungere un valore di circa € 539 miliardi nel 2017, con un tasso di crescita media nel quadriennio del 7,3%.
Le previsioni di SACE confermano il trend di risalita, relativamente sostenuto, delle nostre vendite all’estero: un cammino che, seppur caratterizzato da discontinuità e da cambiamenti di scenario repentini che hanno reso sempre più arduo il compito di formulare previsioni, ha consentito di recuperare i livelli pre-crisi già nel 2011 (€ 375 miliardi di export in valore), ed è destinato a continuare nel medio-lungo termine.

 

Identikit del nuovo export italiano

Il significato del termine “esportare” è ormai profondamente mutato. Oggi non si tratta più, semplicemente, di vendere oltreconfine, ma di conquistare nuove quote di mercato in paesi a maggior potenziale, ben al di fuori del mercato comune europeo, che ormai non può più essere considerato “estero”.

 

Per competere in quest’arena, la qualità Made in Italy è un punto di partenza importante, ma la chiave di volta per il successo delle imprese del “nuovo export” sta nella capacità di riadattarsi continuamente e di dotarsi di strumenti nuovi, anche finanziari (e spesso alternativi ai canali tradizionali), per sostenere le strategie di sviluppo internazionale.

 

Per questo oggi le imprese più internazionalizzate sono quelle che dimostrano maggiore resistenza alle avversità. Sono più solide e in grado di riorientare la produzione per intercettare la crescita, al punto che la propensione all’esportazione è diventata un indicatore rilevante, sebbene non ancora una garanzia di fatto, del merito creditizio.

 

I mercati di riferimento del nuovo export: fuori dall’Europa, verso gli emergenti (e non solo)

Si rafforzerà sempre più il processo di riposizionamento delle esportazioni italiane verso i mercati emergenti. In cinque anni, il loro peso sull’export complessivo è aumentato di circa 4 punti percentuali, a fronte di una riduzione simile dell’incidenza degli avanzati; l’UE rappresenta ormai, oggi, meno della metà delle esportazioni italiane.

 

Nonostante l’inevitabile discontinuità dei loro processi di crescita, saranno i mercati emergenti a generare le migliori opportunità per le imprese del “nuovo export”. Lo sforzo di investimento che stanno portando avanti, soprattutto nel settore manifatturiero, rappresenta un’ottima occasione per le tecnologie italiane, mentre la crescita della classe media, che continuerà in futuro, alimenterà la domanda dei prodotti del Made in Italy più tradizionale.

La classifica “top market”, stilata da SACE per segnalare i mercati a maggior potenziale di export, include un mix di destinazioni difficilmente etichettabile: da un lato, riflette a pieno la prevalenza dei maggiori mercati emergenti (Cina, Russia, Brasile e Turchia) e l’affermazione di nuove mete meno battute (Indonesia, Messico e Arabia Saudita ed Emirati); dall’altro lato, conferma la rilevanza di mercati avanzati ormai acquisiti quali Stati Uniti e Regno Unito.

Fuori classifica, guardando a un orizzonte di medio-lungo termine, meritano una menzione quelli che il Rapporto definisce possibili target di “prossima generazione”: mercati verso i quali il nostro export registra livelli ancora non elevati ma potrebbe trovare ottimi margini in futuro (Filippine, Malesia, Mongolia, Azerbaijan, Qatar, Cile, Colombia, Peru, Panama, Nigeria, Angola, Mozambico).


I settori del nuovo export: al top la “strana coppia” del Made in Italy (beni d’investimento e beni agricoli)

Osservando l’evoluzione dell’export italiano sotto il profilo settoriale, non si rilevano cambiamenti dirompenti negli ultimi cinque anni, ma il progressivo assestamento di una struttura che aveva già cominciato a definirsi agli inizi degli anni Duemila.

 

In quest’evoluzione, la ricerca di nuovi mercati ha fatto da catalizzatore, portando all’affermazione dei settori del Made in Italy, in cui spiccano, al fianco dei beni d’investimento a medio-alta tecnologica, i prodotti del nostro manifatturiero e – new entry di quest’anno – i beni agroalimentari.

 

Le esportazioni italiane di beni agricoli e alimentari cresceranno persino più velocemente rispetto a quelle degli altri prodotti manifatturieri, grazie a punti di forza come tradizione e certificazione, e alle nuove tendenze di consumo, sempre più ricercate, sia per la genuinità dei prodotti sia per i riflessi sul lifestyle.

 

Un’evidenza che trova riscontro nella classifica “top sector” 2014-2017 di SACE. Condividono la vetta del ranking, in singolare combinazione, alimentari, bevande e beni agricoli, da un lato, e beni d’investimento (come apparecchiature elettriche e meccanica strumentale), dall’altro.

 

Anche gli altri prodotti del Made in Italy tradizionale (i beni di consumo), registreranno un aumento apprezzabile delle esportazioni. Ancora una volta, gioca un ruolo fondamentale la qualità, riconosciuta a livello internazionale a tutte le gamme di prodotti, non solo quelli di lusso.

 

Il Made in Italy a medio-alta tecnologia (beni intermedi e d’investimento) ha saputo cogliere i mutamenti del commercio internazionale, sempre più incentrato sulla frammentazione delle funzioni produttive a livello internazionale, posizionandosi nelle Catene Globali del Valore. Dopo le difficoltà degli anni recenti, in cui è pesato l’andamento negativo del ciclo europeo degli investimenti, l’export di beni di investimento sarà trainato dalla ripresa nei Paesi avanzati e dagli investimenti in industrializzazione dei mercati emergenti, di cui beneficeranno soprattutto le esportazioni di meccanica strumentale (+8,5% in media nel 2014-2017).

 

I beni intermedi risentiranno invece dell’incertezza della ripresa in Europa, destinazione di ben oltre la metà delle ven¬dite all’estero per queste produzioni. Il lento recupero della domanda europea potrà tuttavia favorire ulteriormente il processo di riposizionamento in altri mercati, a conferma di come le difficoltà del Vecchio Continente continuino a essere un importante motore di cambiamento.

 

Tessuto imprenditoriale: sotto la superficie, molto si muove

Sebbene la struttura settoriale del nostro export non abbia subìto variazioni di rilievo negli ultimi anni, il tessuto imprenditoriale italiano sottostante ha attraversato un processo di profondo riadattamento.

 

Un primo aspetto sono i cambiamenti per i distretti industriali. Mentre la struttura regionale dell’export italiano è rimasta sostanzialmente invariata tra il 2007 e il 2012, i distretti hanno dimostrato un dinamismo diverso, con performance talvolta in controtendenza rispetto alle Regioni di riferimento.

 

I distretti del Nord Est, ad esempio, sono risultati in controtendenza rispetto all’export totale dell’area, grazie a contributi importanti arrivati dal Friuli-Venezia Giulia e dal Trentino-Alto Adige; in Veneto, le ottime performance dell’occhialeria di Belluno e dell’oreficeria di Vicenza hanno controbilanciato l’andamento difficoltoso degli altri distretti, trainando i risultati regionali.
A Nord Ovest, la contrazione di alcuni importanti distretti lombardi, come la metalmeccanica di Lecco e la calzetteria di Mantova, ha indotto un calo delle esportazioni di 1,8 punti percentuali.
Una diversità di performance evidente anche al Centro Italia dove, alle difficoltà dei distretti marchigiani si contrappongono i successi dei tosca¬ni: l’oreficeria di Arezzo, il vino del Chianti, la pelletteria e le calzature di Firenze, la concia e le calzature di Santa Croce sull’Arno hanno toccato il record delle esportazioni nel 2012.

 

Pochi ma buoni, i distretti del Sud orientati all’export, pur continuando a pesare poco sul totale dei distretti italiani (6,6%), hanno visto spiccare i distretti alimentari delle conserve di Nocera e della mozzarella di bufala campana, al fianco di distretti a medio-alta tecnologia come quello della meccanica di Bari.

 

La bussola delle opportunità del nuovo export: quali Paesi per quali settori

La bussola delle opportunità sviluppata nel Rapporto di SACE indica le migliori opportunità per il nuovo export, settore per settore. Segnala quei mercati in cui le produzioni italiane sono già ben posizionate e potranno mettere a segno tassi di crescita dell’export sostenuti (“mercati acquisiti”), e quei mercati in cui i livelli di vendite sono ancora bassi ma le dinamiche di crescita potenziale sono interessanti. La reattività delle nostre imprese a queste opportunità può generare interessanti prospettive a medio-lungo termine.

 

Attraverso quest’analisi, emergono sacche di opportunità settoriali per diverse mete al di fuori delle rotte più battute: Paesi africani come l’Angola per i prodotti alimentari, il Messico per l’arredamento, l’Arabia Saudita per l’abbigliamento; Hong Kong e Indonesia per i mezzi di trasporto; India, Corea del Sud e Brasile per la gomma e la plastica. La meccanica strumentale, il settore più internazionalizzato dell’industria italiana, ha già acquisito Arabia Saudita e Thailandia, ma trova ottimo potenziale in mercati ancora meno esplorati come Cile e Sudafrica. 

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