Lunga vita al Re: quanto vale la corona britannica per l’export italiano?
“May” è un termine che accomuna i britannici in base a diversi punti di vista: è il nome del primo ministro (Theresa) che nel 2019 per primo – e invano – ha tentato di portare il Regno Unito fuori dall’Unione europea “in modo ordinato” ed è il mese in cui Carlo III sarà incoronato succedendo a oltre sessanta re e regine. Ad accumunare Brexit e casato reale, sempre in una sorta di gioco di parole, è un nome, Windsor; sì perché lo scorso febbraio, con il Windsor Framework, si è sancito definitivamente l’accordo tra Londra e Bruxelles in merito ai rapporti bilaterali tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda: due corsie, la “green lane” (per le merci destinate al mercato interno britannico – e viceversa – che a seguito di valutazioni sulla base di risk assessment saranno esenti da controlli) e la “red lane” (per tutte le merci destinate al mercato comunitario, Irlanda compresa, e viceversa, con controlli doganali).
Trovare un accordo per girare pagina. La Brexit, ma non solo, la pandemia e il conflitto russo-ucraino, hanno mostrato le debolezze di un’economia che, salvo eccezionalità, potrebbe registrare un anno di recessione (-0,3% secondo le ultime stime di aprile del Fondo monetario internazionale). A marzo il cancelliere dello scacchiere, Jeremy Hunt, ha presentato il nuovo piano di bilancio che prevede un pacchetto di misure da £21,9 miliardi (pari allo 0,8% del Pil) per l’anno 2023-24 (l’anno fiscale nel Regno Unito chiude a marzo) a cui si aggiungono ulteriori £18miliardi fino al 2027-28 (0,7% del Pil); un piano articolato su 4 pilastri, enterprise, education, employment and everywhere, che mira a “rendere la Gran Bretagna uno dei luoghi più prosperi d'Europa” (usando le parole di Hunt), risolvere il problema della carenza di manodopera facilitando l’ingresso nel mercato del lavoro e al contempo posticipandone l’uscita per chi si avvicina alla pensione, e accrescere la performance delle imprese semplificando la raccolta di capitali e puntando sul digitale (migliorandone, di conseguenza e necessariamente, le relative infrastrutture).
A fine aprile Italia e Regno Unito hanno siglato un memorandum d’intesa sulla cooperazione bilaterale che prevede, tra le altre, il focus congiunto su tematiche green e sostenibili: efficienza energetica, tecnologie pulite (tra cui energie rinnovabili marine ed eolico offshore), finanza verde, tassazione ambientale ed economia circolare; quest’ultima prevede non solo lo sviluppo di sistemi di trasporto verdi, intelligenti, interoperabili, sicuri e sostenibili, ma anche l’istituzione di un gruppo di lavoro sull’agricoltura e sulla nutrizione che affronti il tema della sicurezza alimentare e dia maggiore impulso e promozione alla digitalizzazione e alle tecnologie emergenti. È quindi incoraggiata, tra i due Paesi, la collaborazione nel settore pubblico e privato circa le politiche per le imprese per migliorare l'industria sostenibile, la sicurezza delle catene di approvvigionamento (compresi i minerali critici), l'innovazione e la produttività delle imprese. Infine, in linea con il Dialogo ministeriale sulla promozione delle esportazioni e degli investimenti, saranno incentivati gli scambi commerciali e gli investimenti bilaterali sostenendo la crescita delle imprese, specialmente delle PMI, nei settori dell’economia verde e blu, delle tecnologie di frontiera - compresa quella quantistica – della mobilità sostenibile, delle scienze della vita, dell’ingegneria avanzata e delle industrie creative.
Un accordo che fa ben sperare per l’export italiano in partenza verso Londra: se, infatti, le vendite italiane nel Paese nel quinquennio precedente il primo referendum sulla Brexit crescevano in media a un ritmo superiore all’export complessivo, a partire dal 2017 la dinamica si è ribaltata. Il Regno Unito rappresenta il sesto mercato di destinazione del Made in Italy, con una quota di mercato pari al 3,7%, dietro a Germania e Francia, ma davanti alla Spagna. Il 2022 ha visto €27,3 miliardi di merci italiane varcare la Manica, in aumento del 16,6% rispetto all’anno precedente, ma con una crescita inferiore a quella dell’export complessivo (+20%). A trainare le vendite oltreconfine è la meccanica strumentale, ma è proprio questo settore a performare meno bene del resto (“solo” +4,2% rispetto al 2021), mentre si è assistito a un vero e proprio boom della chimica e farmaceutica, sia in termini di crescita (+60,6%) sia in termini di peso (oggi secondo settore rappresentando il 13,5% del totale); buona la dinamica di alimentari e bevande che non hanno smesso di crescere nemmeno durante la pandemia (+15,1% rispetto al 2021 superando, in valore, i €3 miliardi). I primi due mesi del 2023 confermano la buona dinamica dell’export italiano verso Londra, pur sempre a un tasso inferiore a quello complessivo (+8,5% vs +13,0% in termini tendenziali)Fig. 1 – Interscambio commerciale tra Italia e Regno Unito (prezzi correnti, € mld; var. %)
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