Sasso nello stagno 14 maggio 2018

Il cappotto di Putin: gas, petrolio ed energia nucleare contano più delle sanzioni?

L’ultimo crollo dei prezzi del petrolio tra il 2014 e il 2016 e i tentativi di diversificazione energetica promossi in Europa hanno colpito l’economia russa. Al contempo, le sanzioni occidentali hanno offuscato l’orizzonte finanziario del Paese, ostacolando alcuni grandi progetti in campo energetico. L’impatto combinato di petrolio e sanzioni è stato tale che tra il 2014 e il 2017 quasi un istituto di credito su 4 ha chiuso i battenti.

L’ultimo crollo dei prezzi del petrolio tra il 2014 e il 2016 e i tentativi di diversificazione energetica promossi in Europa hanno colpito l’economia russa. Un prezzo del barile al di sotto dei 40 dollari ha fatto da cornice al crollo dell’Urss negli anni di Gorbaciov, gli anni della “formazione” di un meticoloso agente del Kgb, che potrebbe ora guidare il Paese per un periodo complessivo di 25 anni, dal suo primo insediamento nel dicembre 1999 alla fine del mandato presidenziale appena ottenuto, nel 2024. Al contempo, le sanzioni occidentali hanno offuscato l’orizzonte finanziario del Paese, ostacolando alcuni grandi progetti in campo energetico e sospingendo i loro promotori verso la Cina per reperire i fondi necessari a tenerne in piedi almeno una parte. Secondo Banca Mondiale, l’impatto combinato di petrolio e sanzioni è stato tale che tra il 2014 e il 2017 quasi un istituto di credito su 4 ha chiuso i battenti.

Storia politica sovietica-russa vs prezzo del petrolio

La lunga era di Putin ha visto la Russia ritornare ai massimi nella produzione e nell’export di idrocarburi, ma anche un progressivo aumento della disuguaglianza (il 10% più ricco si spartisce quasi metà delle entrate, il 50% più povero meno di un quinto), il deterioramento delle relazioni con l’Occidente e una relativa marginalizzazione in termini economici. Nel 2017 il Pil russo si è fermato circa mille miliardi al di sotto di quello indiano – solo dieci anni fa lo superava di 100 miliardi – e all’ultimo posto tra i famigerati BRIC. Al contempo, il computo dei miliardari residenti in Russia non si discosta molto da quello dell’India: 96 contro 101.

Nel racconto di Gogol “Il cappotto”, il protagonista, un mite impiegato escluso dai giri della Pietroburgo che conta, riesce dopo notevoli sacrifici a farsi confezionare un soprabito con il quale affrontare il rigido inverno e guadagnare un’immagine presentabile agli occhi delle dame dell’alta società. Mentre rincasa, felice per l’acquisto, viene però derubato del prezioso capo senza il quale si ammala e finisce per morire di freddo. Il suo fantasma vaga allora in cerca di rivincita, derubando i ricchi dei loro cappotti. La Russia di oggi non è più la superpotenza del secolo scorso, ma un attore regionale che cerca di fare fronte comune con altri Paesi oggetto a loro volta delle sanzioni (Iran) o della marginalizzazione (Egitto, Qatar, Turchia) dell’Occidente. Petrolio, gas e nucleare mantengono in piedi il sistema di Putin, ma forse non sono lo stesso cappotto che il Paese ha perduto ormai molto tempo fa.

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