Focus On
15 novembre 2012
Focus On: Cina
Le aspettative dopo il 18° Congresso del Partito Comunista
Tutto secondo i piani...o quasi
Al termine del congresso che ha concluso l’attesa transizione politica cinese, Xi Jinping è stato eletto segretario generale del partito e prenderà il posto del presidente uscente Hu Jintao. L’economista Li Keqiang sarà, invece, il nuovo premier al posto di Wen Jabao.
Il passaggio di consegne tra i leader che hanno guidato il Paese negli ultimi dieci anni e i loro successori avverrà a marzo 2013. A sorpresa Xi Jinping è stato nominato presidente del Central Military Commission, ottenendo anche il controllo dell’esercito, carica che tutti si aspettavano dovesse continuare a ricoprire il presidente uscente come avvenuto in passato.
Il “gruppo degli anziani" (i leader nominalmente in pensione capitanati dall'ex presidente Jiang Zemin) ha svolto un ruolo da protagonista nella designazione dei membri del Politburo Standing Committee, il comitato permanente del partito che decide le sorti del Paese. I nuovi membri del Committee saranno sette anziché nove, appartenenti all’ala conservativa del partito comunista, tendenzialmente restia alle grandi riforme.
Alcuni nomi: Zhang Dejiang (economista formatosi in Corea del Nord), Yu Zhengsheng (ex segretario di partito di Shanghai), Liu Yunshan (capo della propaganda famoso per il controllo dell’informazione e le limitazioni alla libertà di stampa e internet), Zhang Gaoli (segretario di partito di Tianjin) e Wang Qishan (esperto policy maker e politico veterano).
Sono stati esclusi, invece, personaggi considerati riformisti come Li Yuanchao (a capo del Dipartimento Organizzativo e con un passato nella business school di Harvard) e soprattutto Wang Yang, la voce forte del cambiamento (segretario di partito della ricca provincia del Guangdong, fautore di un modello economico basato sull’iniziativa privata e su un maggiore ruolo della società civile).
Cosa ci si deve aspettare
Le sfide alle quali devono far fronte i nuovi leader cinesi non sono molto diverse da quelle di dieci anni fa. I numeri mostrano che la Cina è cresciuta ma non ha risolto alcune problematiche strutturali (disparità sociale, riforma del sistema politico, cambio di modello di sviluppo e tutela dell’ambiente). Negli ultimi anni lobby, burocrati e imprese di stato hanno accumulato un notevole potere politico ed economico e il caso di Bo Xilai ha minato la stabilità politica all’interno del partito.
Nel suo discorso, breve e conciso, il futuro presidente Xi Jinping ha dichiarato di voler perseguire con decisione la lotta alla corruzione e di voler garantire un migliore stile di vita per la popolazione, menzionando una volta sola la parola “socialismo”.
Ne viene fuori l’immagine di una leadership con un forte mandato, vincolata nel breve termine al piano quinquennale approvato dal governo uscente (2011-2015), che esprime una certa continuità con il passato e poco propensa alle grandi riforme.
Si ritiene improbabile l’attuazione di un pacchetto massiccio di stimoli fiscali e monetari come quello varato nel 2008-09. La priorità è stabilizzare l’economia garantendo una crescita più sostenibile nel medio e lungo periodo. Per tali motivi è verosimile che un tasso di crescita del 6-7 per cento (oggi giudicato basso per garantire la tenuta sociale del paese) possa essere considerato appropriato.
Come affronterà la Cina questo delicato passaggio in un contesto globale di forte rallentamento? Riuscirà a bilanciare il proprio modello economico in favore dei consumi interni? Procederà a riformare le potenti aziende di stato e il sistema politico?
I presupposti non sono dei migliori, ma ai posteri l’ardua sentenza.
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