Sasso nello stagno 03 aprile 2018

Export italiano e tasso di cambio: più apertura, meno sensibilità

Un’analisi empirica di Sace mostra come la sensibilità (o elasticità) delle esportazioni italiane al tasso di cambio effettivo reale sia diminuita nel tempo. Cosa ci rende più resistenti?

Quante volte, indecisi tra prodotti simili, abbiamo scelto secondo il criterio del minor costo? La competitività di prezzo, intesa come la convenienza relativa a parità di tipologia di bene, è uno dei fattori in grado di determinare il successo dei prodotti di un’impresa in uno o più mercati. Nell’ambito del commercio internazionale, un indice ampiamente utilizzato per misurare la competitività di prezzo dei beni prodotti in un Paese, e confrontarla con quella di altri, è il tasso di cambio effettivo reale1 (REER), le cui variazioni influenzano la dinamica dell’export. Un’analisi empirica di Sace2, che esamina i dati trimestrali dell’export italiano dal 1980 al 2016, mostra come la sensibilità (o elasticità) delle esportazioni italiane al REER sia diminuita nel tempo: un apprezzamento dell’1% del cambio effettivo reale (una perdita di competitività) genera una riduzione media delle esportazioni dello 0,55% nel periodo 1980-1998 e dello 0,45% dal 1999 al 2016, rendendo la domanda estera di beni italiani meno sensibile a variazioni del tasso di cambio.

 

Cosa ci rende più resistenti? Tra le diverse spiegazioni di questo fenomeno, ne individuiamo due in particolare. La prima si rifà alla sempre maggiore apertura dei sistemi produttivi nazionali e al crescente sviluppo delle Catene Globali del Valore, che implica un utilizzo di materie prime e semilavorati importati da diverse aree geografiche nel processo produttivo. Eventuali svalutazioni competitive diventano, perciò, sempre meno efficaci perché compensate da un incremento del prezzo dei beni importati lungo le diverse filiere. A riprova di ciò, osserviamo come il “contenuto estero” delle esportazioni italiane sia passato dal 17% nel 1995 al 25% nel 20143; il balzo maggiore è stato registrato nei settori dei prodotti chimici e minerali non metallici e in quello dei metalli di base, passati, rispettivamente, dal 24% e 23% al 42% e 38% nel 2011, mentre l’incremento è stato meno accentuato in quello dei macchinari e apparecchiature (dal 20% al 26%). Data l’importanza di questi tre settori per l’export italiano (il loro peso totale è passato dal 38% nel 1995 a quasi il 43% nel 2016), l’evidenza empirica proposta ben si sposa con la riduzione dell’elasticità riscontrato nei dati. La seconda, un po’ più naive, è legata alla qualità media dei beni esportati. Riprendendo il quesito inziale, se è vera l’importanza del criterio della convenienza, è altrettanto vero che le scelte di consumo sono spesso condizionate dall’attaccamento a uno o più brand. La quota dell’export italiano di beni rispetto al Pil è passata da circa il 10% nel 1980 a circa il 25% alla fine del 2016. Tale incremento è stato accompagnato da una crescita della qualità dei beni esportati: il valore medio unitario (una proxy del livello di qualità) è cresciuto ad un tasso medio annuo del 4% nel periodo 2000-2016. Questi elementi possono quindi aver creato un certo livello di fiducia nei confronti dei nostri prodotti, stabilizzandone la domanda.

 

Sensibilità export italiano

 

 

In conclusione, la maggior partecipazione alle catene globali del valore, sostenuta anche dall’attività delle Export Credit Agency come SACE, ha reso il successo delle imprese esportatrici meno dipendente da quei fattori che tradizionalmente hanno influenzato la domanda estera in sistemi economici meno integrati, spostandone la chiave verso altri (per esempio, miglioramento qualitativo e canali distributivi).

 

 

1 Il tasso di cambio effettivo reale è una media ponderata dei tassi di cambio bilaterali reali in cui i pesi rappresentano l’importanza dei partner commerciali per l’economia.
2 Tale analisi segue, in maniera semplificata, l’approccio di Ahmed et al. (2015), “Global Value Chains and the Exchange Rate Elasticity of Exports”, IMF Working Paper 15/252.
3 Dati estratti dal database TiVa dell’OCSE, che copre un orizzonte temporale che va dal 1995 al 2014 per i dati aggregati, mentre le ultime osservazioni si fermano al 2011 per il dettaglio settoriale.

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