Sasso nello stagno 17 maggio 2023

Elezioni in Turchia: possibile riconferma politica ma permane incertezza economica

Il responso delle urne ha rinviato al prossimo 28 maggio, come emerso dai sondaggi più recenti, l’elezione del Presidente della Turchia. Nonostante il deprezzamento della lira turca, le esportazioni italiane nel Paese hanno tenuto e raggiunto i €13,4 mld nel 2022 (+41% vs 2021); il trend positivo continua anche nel 2023 con l’export che cresce del 31,4% in valore nei primi tre mesi dell’anno.

Il responso delle urne ha rinviato al prossimo 28 maggio, come emerso dai sondaggi più recenti, l’elezione del Presidente della Turchia. Le attese votazioni del 14 maggio hanno visto tuttavia solo in parte avverarsi le previsioni:  i risultati hanno infatti mostrato come i voti per Erdogan siano risultati superiori a quanto previsto (49% vs 45% dai sondaggi pre-elettorali) mentre lo sfidante Kilicdaroglu si è fermato al 45% (vs 48% dei sondaggi pre-elettorali). In parlamento, invece, l’AKP sembra riconfermarsi come forza politica di maggioranza (35% dei voti per 321 seggi conquistati su un totale di 600).  La reazione dei mercati non si è fatta attendere: la lira turca si è deprezzata dello 0,5%, la borsa ha perso il 6%  in apertura (le banche hanno perso il 9% ma salgono le quotazioni di aziende del real estate e costruzioni), cresce il rendimento dei bond sovrani in dollari (9,25%), cosi come i CDS sovrani a 5 anni (+100 bps in un giorno arrivando a 607 bps, ai massimi da marzo ‘21). Nelle settimane precedenti il voto si sono fatte ipotesi di scenario nel caso di riconferma di Erdogan o vittoria dell’opposizione:Una vittoria delle opposizioni - che appare meno probabile - non sarebbe quindi una rivoluzione a tuttotondo. L’economia interna beneficerebbe nel lungo termine di un cambio di approccio, ma il sistema bancario potrebbe subire un aumento repentino dei tassi di interesse che esporrebbe le banche turche, incentivate in questi anni a finanziare il disavanzo pubblico tramite acquisto di obbligazioni statali, a una riduzione del valore nominale dei titoli del Tesoro in portafoglio e quindi a un peggioramento della qualità dei propri attivi. Gli operatori economici internazionali che negli ultimi anni hanno abbandonato il Paese gradirebbero, invece, un ritorno a politiche più ortodosse e mostrano, quindi, preoccupazione per l’“incertezza a lungo termine” che si prospetta con la possibile vittoria di Erdogan. La riconferma delle sue politiche ultraespansive ha già causato inflazione elevata, deprezzamento della valuta, calo delle riserve internazionali, stress sulla bilancia dei pagamenti; le politiche di de-dollarizzazione stanno inoltre avendo effetti negativi sui conti pubblici del Paese - una volta punto di forza della Turchia - gravati dalle misure pre elettorali (come l’aumento dei salari pubblici del 45%) e dallo stimolo fiscale resosi necessario in conseguenza del terremoto di febbraio scorso.

Nonostante il deprezzamento della lira turca, che rende più costosi i beni importati, ma grazie agli stimoli alla domanda interna, le esportazioni italiane nel Paese hanno tenuto e raggiunto i €13,4 mld nel 2022 (+41% vs 2021 in valore, incremento dovuto a un effetto prezzo  considerato che in volume l’export è cresciuto solo del 3%) guidate da prodotti raffinati (sia in volume che valore) e dalla meccanica strumentale (soprattutto in valore);  il trend positivo (anche settoriale) continua anche nel 2023 con l’export che cresce del 30% circa in valore nei primi tre mesi dell’anno. Una politica economica che combatta l’inflazione con l’aumento dei tassi di interesse, potrebbe portare a rafforzare la lira turca e rendere meno cari i beni importati. Un beneficio per chi esporta in Turchia che va però ben dosato per non sopprimere eccessivamente la domanda interna: quello che attende il Paese dopo il 28 maggio è il più classico dei trade off tra risanamento macroeconomico e crescita. D’altra parte, il mantenimento delle politiche oggi in vigore non appare sostenibile nel lungo termine e potrebbe portare, se protratto, a una crisi della bilancia dei pagamenti e nella peggiore delle ipotesi a rigidi controlli sul movimento di capitali.

Non resta che sperare in quello che è già avvenuto a volte in passato: un ravvedimento (almeno parziale) che possa portare le autorità turche a introdurre alcuni correttivi in grado di riportare l’economia del Paese su una traiettoria più sostenibile. Su questa possibilità, però, grava l’imprevedibilità della situazione che rende più difficile ogni tentativo di previsione.    

 

 

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