Sasso nello stagno 15 giugno 2021

Algeria: nuovo parlamento, vecchio potere?

L'Algeria il 12 giugno ha votato i 407 membri della People’s National Assembly (la camera bassa) con un’affluenza di circa il 30%, inferiore rispetto a quella già bassa delle elezioni passate. L’affluenza non è un tema rilevante per le autorità algerine secondo cui non sarebbe neppure una condicio sine qua non per la legittimazione degli organi eletti. I risultati non si avranno prima di qualche giorno, ma l’autorità nazionale elettorale smentisce la vittoria autoproclamata dai partiti di ispirazione islamica (Mouvement de la société pour la paix) che, tuttavia, dovrebbero ottenere buoni risultati. Il Paese continua a soffrire di una crisi economica in cui il fondo sovrano dal 2017 è esaurito. Uno spiraglio si intravede grazie all’abolizione della regola del 49/51 per le partecipazioni estere nelle aziende locali. Resta però da verificare la reale volontà politica ad apportare questo importante cambiamento.
Dopo un presidente – Tebboune – eletto a fine 2019 con una partecipazione al voto di circa il 40% e un referendum costituzionale nel 2020 con il 25%, l’Algeria il 12 giugno ha votato i 407 membri della People’s National Assembly (la camera bassa) con un’affluenza di circa il 30%, inferiore rispetto a quella già bassa delle elezioni passate (35,7% nel 2017 e 42,9% nel 2012). Aumenta così la scarsa fiducia nell’intero apparato istituzionale che il movimento di protesta Hirak combatte dal 2019 manifestando – per lo più pacificamente - per le strade delle città algerine e ponendo un tema di legittimazione degli organi istituzionali, dal presidente, al governo fino al parlamento. L’affluenza non è un tema rilevante per le autorità algerine secondo cui non sarebbe neppure una condicio sine qua non per la legittimazione degli organi eletti. Per molti osservatori le elezioni anticipate (questa volta di un anno) sono un metodo – non nuovo – utilizzato dal potere per “rinnovarsi” attraverso consultazioni già delegittimate dalle opposizioni e dal movimento Hirak. Una novità questa volta c’è stata: di circa 13 mila candidati, quasi la metà si sono presentati come “indipendenti”, una numerosità mai vista prima e con le candidature femminili raddoppiate rispetto all’ultima tornata elettorale. 
I risultati non si avranno prima di qualche giorno, ma l’autorità nazionale elettorale smentisce la vittoria autoproclamata dai partiti di ispirazione islamica (Mouvement de la société pour la paix) che, tuttavia, dovrebbero ottenere buoni risultati. Soffrono, invece, i partiti che tradizionalmente hanno governato il Paese dalla fine della guerra civile (Front de libération nationale e Rassemblement National Démocratique), additati come i responsabili della crisi economica in cui versa il Paese: disoccupazione giovanile elevata (30%) e mancata diversificazione dalle materie prime energetiche il cui shock nel 2020 ha ulteriormente peggiorato lo stato dei conti pubblici. L’Algeria ha il prezzo di break even fiscale del petrolio più elevato tra i produttori, $170 al barile per il 2021, secondo il Fmi, (se si esclude l’Iran). Un Paese che nel 2020 ha visto contrarsi il Pil del 6% e l’export di oil&gas del 30%, arrivando a esportare meno di 300mila barili al giorno (vs 1,4 mln nel 2013), un trend che è continuato anche nei primi mesi del 2021. La volontà di proseguire sulla strada della spesa pubblica porterà il deficit fiscale a raggiugere quasi il 14% del Pil nel 2021(dal 7,7% nel 2020) e un debito pubblico a toccare valori in forte e rapida espansione: dall’8% del Pil nel 2014, oggi ha raggiunto il 53% e si prevede toccherà il 94% entro il 2024 (Fig. 1).
 

SACE Sasso nello stagno Algeria elezioni 2021

Difficile dire se il nuovo parlamento porterà cambiamenti politici concreti; le previsioni e le reazioni della piazza sembrano attendere il contrario.  Questo pone un serio tema di instabilità sociale interna, specialmente in un Paese che continua a soffrire di una crisi economica, in cui le riserve valutarie che nel 2013 valevano circa $200 miliardi oggi valgono $47 miliardi, e in cui il fondo sovrano dal 2017 è esaurito, dopo essere stato utilizzato più volte (ad esempio durante le primavere arabe, per raffreddare le proteste attraverso sussidi elevati). Uno spiraglio per il governo resta quello di aprirsi all’indebitamento con l’estero, a oggi praticamente inesistente (5% del Pil) per una precisa scelta politica passata. Le modifiche normative necessarie a questo passo sono state intraprese nel 2020, con l’abolizione della regola del 49/51 per le partecipazioni estere nelle aziende locali e con l’abrogazione della norma che obbligava a finanziare con fondi domestici progetti con l’estero. Resta però da verificare la reale volontà politica ad apportare questo importante cambiamento.

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