Sasso nello stagno 28 luglio 2022

Tunisia: conseguenze di un ritorno all’autocrazia

“Sono qui per salvare la Tunisia dal collasso”. Sono alcune delle parole usate dal presidente Kaies Saied prima del referendum per la nuova costituzione che accentua l’autoritarismo e il potere nelle sue mani. Il Paese è in profonda crisi economica; Banca mondiale e Ue continuano a inviare aiuti a Tunisi. Ciononostante, nel 2022 il valore dell’export italiano nel Paese registra una crescita, con la Tunisia che nel 2021 si attesta essere il secondo mercato di sbocco dei nostri beni in Nord Africa.
“Sono qui per salvare la Tunisia dal collasso”. Sono alcune delle parole usate dal presidente Kaies Saied che, però, sembra essere stato parte del problema di un Paese in profonda crisi economica. A un anno dalla sospensione (e poi scioglimento definitivo) del parlamento il presidente ha indetto un referendum su una nuova costituzione che accentua l’autoritarismo e il potere nelle sue mani, concedendogli la possibilità di prorogare il proprio mandato, rendendo più semplice la dissoluzione del parlamento e più difficile la rimozione del presidente da parte del parlamento stesso. Un referendum che, per volontà di Saied, non è stato soggetto alla regola del quorum e che, come atteso, ha visto una vittoria del SI alla nuova costituzione. Ma la partecipazione della popolazione alla vita politica va scemando: delle tre elezioni parlamentari e due presidenziali svoltesi dopo la fine della rivoluzione, quella del 2019 ha visto l’affluenza minore (41%), almeno fino ad oggi. Difatti solo il 27% dei circa 9 mln di cittadini registratisi per il voto si è recato alle urne il 25 luglio scorso, ponendo un tema di legittimità del potere politico del presidente. La popolazione è preoccupata maggiormente dai problemi economici e dal crescente costo della vita. È opinione diffusa tra gli analisti che, in assenza di un cambio di rotta da parte del presidente, il Paese sia sulla strada di un default. Il “nuovo corso” politico del presidente iniziato un anno fa ha allontanato la Tunisia dal supporto di Paesi donatori e istituzioni multilaterali. Supporti essenziali per un Paese con un deficit di parte corrente pari all’11% del Pil da finanziare in assenza di investimenti esteri, scoraggiati proprio dall’assetto politico/istituzionale interno, e praticamente tagliato fuori dal mercato dei capitali avendo raggiunto il rendimento sui bond sovrani in dollari il 34%. In questo contesto Banca Mondiale e Unione Europea continuano a inviare aiuti al Paese – necessari seppure non sufficienti - nella speranza di smorzare quella che potrebbe diventare una crisi alimentare; il Paese è infatti dipendente dall’import di derrate alimentari, grano e orzo in particolare (8° importatore mondiale in volume). I colloqui con il Fmi sono in corso da diversi mesi e nelle prossime settimane partiranno nuove discussioni per un possibile programma di salvataggio che, però, non sembra ancora realmente concretizzarsi. Da questo punto di vista il Paese non sembra avere molte vie di uscita. Un bailout del Fmi richiederebbe al governo (del presidente) riforme impopolari di consolidamento fiscale, che hanno già trovato la dura opposizione di popolazione e sindacati (il cui supporto il FMI reputa necessario per il buon fine di un programma di aiuti) e che potrebbe aprire la strada a una crisi sociale interna anche violenta; d’altra parte, andare incontro alle richieste delle parti sociali – che si traducono in aumenti di salari, pensioni e sussidi – non farebbe altro che accelerare l’insolvenza. Per cui qualsiasi decisione sembrerebbe portare a conseguenze rilevanti per il Paese ed è improbabile che il Fmi possa intervenire prima della fine dell’anno, in assenza di un parlamento e di un interlocutore certo. Nel frattempo, le società di rating hanno effettuato un downgrade del Paese e l’Ocse ha peggiorato la classificazione ponendo il Paese in categoria 7 (in una scala da 0 a 7 dove 7 rappresenta il rischio massimo). A dicembre sono indette le elezioni politiche per eleggere il nuovo parlamento e, possibilmente, un nuovo governo; ma il clima politico interno non favorisce una conciliazione; i partiti denunciano il metodo unilaterale e l’autoritarismo crescente del presidente, boicottano le consultazioni ma al contempo non riescono a costruire un fronte di opposizione unito. Ciononostante, nel 2022 il valore dell’export italiano nel Paese registra una crescita: nei primi cinque mesi  è salito di quasi il 40% rispetto ai primi cinque mesi del 2021 (sebbene ci sia un forte effetto base e un significativo effetto prezzo come dimostra la crescita di prodotti del settore estrattivo e agricolo, più che duplicati e i prodotti raffinati cresciuti di quasi il 60%), tornando lentamente ai livelli pre-crisi quando le imprese italiane vendevano circa €3,1 mld, facendo della Tunisia il primo mercato di sbocco dei nostri beni in Nord Africa.

Il 25 luglio è il giorno in cui la Tunisia festeggia l’istituzione della Repubblica avvenuta nel 1957; ma con la nuova costituzione che sottopone al controllo del presidente i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, potrà essere ricordato come il giorno in cui è tornata l’autocrazia nell’unico Paese del Nord Africa a essere riuscito, nel 2014, a redigere una Costituzione che garantisse un assetto democratico. Il nuovo assetto politico avrà degli effetti sulle relazioni con i partner occidentali; più volte il G7 aveva spronato la Tunisia a tornare sul suo percorso democratico. Il raffreddamento di questi rapporti, già cominciato un anno fa in occasione della sospensione del parlamento, ha portato il Paese a rivolgere lo sguardo ai Paesi del Golfo. Tuttavia è difficile pensare a una rottura totale dei rapporti con l’Occidente, in particolare con i Paesi dell’Ue, data l’importanza geopolitica che la Tunisia ricopre nel Mediterraneo e come dimostra il sostegno economico che Ue e Banca Mondiale continuano a fornire al Paese. 

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