Sasso nello stagno 10 maggio 2022

Il cambio euro/dollaro vola verso la parità?

A partire dallo scorso autunno, il tasso di cambio euro/dollaro ha avviato una fase ribassista a fronte delle prospettive di normalizzazione della politica monetaria degli Stati Uniti rispetto a un orientamento ancora accomodante della Banca centrale europea. Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, stiamo assistendo a un’accelerazione di questa fase. Nei prossimi mesi potremmo assistere a un ulteriore deprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro verso la parità entro la fine del 2022, per la la prima volta dal 2003.
A partire dallo scorso autunno, il tasso di cambio euro/dollaro ha avviato una fase ribassista a fronte delle prospettive di normalizzazione della politica monetaria degli Stati Uniti rispetto a un orientamento ancora accomodante della Banca centrale europea.  Nei primi due mesi del 2022 il cambio oscillava attorno a quota 1,13 dollari per euro, in calo rispetto alla media di 1,18 registrata nel corso dell’anno precedente. Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia il 24 febbraio, stiamo assistendo a un’accelerazione di questa fase, con il tasso che è arrivato a toccare quota 1,05 (ai minimi dal 2016), perdendo circa il 7% dallo scoppio del conflitto. I fattori al ribasso che influiscono – direttamente e indirettamente – sulla quotazione sono molteplici.
 

In primis, la divergenza di politica monetaria tra la Federal Reserve e la Bce si è ulteriormente ampliata negli ultimi mesi. Lo scorso marzo la Fed ha iniziato il primo rialzo (di 7 previsti nel corso del 2022) e, secondo le attese dei mercati finanziari, il federal fund rate salirebbe oltre il 2,5% entro la fine dell’anno, implicando un atteggiamento restrittivo . Ciò si inserisce peraltro in un contesto di fine del piano di acquisti di attività finanziarie, a cui si accompagnerà anche la graduale riduzione dei reinvestimenti dei titoli giunti a scadenza, determinando quindi un ridimensionamento del bilancio. Di contro, la Bce non ha annunciato aumenti dei tassi di interesse ma ha avviato la riduzione degli acquisti di titoli mantenendo però il reinvestimento almeno alla fine del 2024. Nonostante i mercati finanziari abbiano iniziato a prezzare 1 o 2 rialzi anche in Eurozona già a partire da luglio, l’incremento potrebbe essere di entità minore e avverrebbe a un ritmo molto più graduale. Tale divergenza riflette un contesto macroeconomico differente: negli Usa le pressioni inflazionistiche sono diffuse ai vari settori dell’economia e dipendono non solo dalle criticità dell’offerta bensì anche da solide condizioni della domanda e del mercato del lavoro; di contro, nell’Eurozona l’inflazione core – ossia depurata dalle componenti più volatili come energia e generi alimentari – si mantiene ancora su livelli relativamente più contenuti (sebbene su un trend crescente). Ciò si riflette quindi sulle aspettative di inflazione (su livelli oltre l’obiettivo per la Fed, mentre pressoché in linea per la Bce) e sul differenziale di rendimento tra i Titoli di Stato americani e tedeschi, determinando un afflusso di capitali verso gli Usa e quindi l’apprezzamento del dollaro.

Figura 1 – Euro/dollaro vs Differenziale di rendimento tra i Titolo di Stato 2 anni US-Germania (punti base)SACE eurodollaro

Fonte: Elaborazioni SACE su dati Refinitiv Datastream 

A ciò si aggiunge anche il peggioramento delle prospettive di crescita dell’economia globale a causa della guerra tra Russia e Ucraina, verso la quale i paesi europei sono maggiormente esposti sia per la vicinanza geografica sia per la dipendenza di energia e input produttivi strategici. In un contesto di elevata incertezza (senza trascurare l’impatto dei lockdown in corso in Cina contro il Covid-19), il dollaro sta rafforzando il suo status di bene rifugio (mentre il prezzo dell’oro sta calando). La valuta americana si è apprezzata, infatti, non solo verso l’euro bensì verso un paniere di valute, grazie alla sua capacità di assolvere le tre funzioni cruciali di una moneta globale, ossia mezzo di pagamento nelle transazioni commerciali internazionali, strumento di regolamento nei mercati finanziari (molte materie prime sono quotate in dollari) e riserva di valore detenuta dalle altre Banche centrali.
 

Alla luce di queste considerazioni, riteniamo che nei prossimi mesi potremmo assistere a un ulteriore deprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro verso la parità entro la fine del 2022, per la la prima volta dal 2003. 

 

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