Sasso nello stagno 15 dicembre 2020

L’area di libero scambio africana: un buon affare (anche) per il Made in Italy

Seconda area di libero scambio al mondo, l’AfCFTA collegherà 1,3 miliardi di persone in 53 economie (tutta l’Africa tranne l’Eritrea) con un Pil complessivo di $3.400 miliardi. L’accordo promette di contribuire a quella crescita delle produttività in grado finalmente di integrare l’Africa nei commerci internazionali di prodotti a maggiore valore aggiunto.
Alle prese con quella che il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha definito come un’“incombente crisi del debito sovrano”, i paesi africani sono l’avamposto della battaglia economica contro una pandemia che, dopo aver riportato le lancette dello sviluppo indietro di dieci anni, rischia di farne vacillare le fragili fondamenta finanziarie. L’entrata in vigore dell’African Continental Free Trade Agreement (AfCFTA) il prossimo 1° gennaio, sarà dunque il momento per buona parte dei paesi per ripensare un modello di crescita che con estrema lentezza va affrancandosi dal retaggio coloniale. Seconda area di libero scambio al mondo, l’AfCFTA collegherà 1,3 miliardi di persone in 53 economie (tutta l’Africa tranne l’Eritrea) con un PIL complessivo di $3.400 miliardi. Con l’erosione di una parte significativa delle rendite di posizione, sia grazie a un significativo snellimento delle procedure amministrative che attraverso la crescente esposizione alla competizione internazionale, l’accordo promette di contribuire a quella crescita delle produttività in grado finalmente di integrare l’Africa nei commerci internazionali di prodotti a maggiore valore aggiunto. La stabilizzazione dei flussi di valuta forte che ne risulterebbe e l’accesso a fonti di finanziamento meno onerose permetterebbero inoltre di liberare risorse necessarie alla lotta contro la povertà, a beneficio dello sviluppo del capitale umano di un continente che, stando alle previsioni ONU, arriverà a contare 2,5 miliardi di persone nel 2050

 

Un circolo virtuoso che, secondo la Banca Mondiale potrebbe valere $450 miliardi entro il 2035, sufficienti a condurre 30 milioni di persone al di fuori della povertà estrema, con un aumento del 19% delle esportazioni verso il resto del mondo e del 3% del gettito fiscale. L’effettiva efficacia dell’iniziativa dipenderà tuttavia dall’implementazione in ciascun paese: l’abolizione dei dazi sul 97% delle merci entro il 2030 impatterà profondamente su quelle economie particolarmente fragili  (Sud Sudan, Gabon, Somalia, Ciad), che nel 2018 hanno applicato in media un dazio superiore al 15% sui prodotti africani (Fig. 1). Vi è, inoltre, una possibilità concreta che l’apertura delle economie meno competitive sia solo formale e riguardare linee tariffarie marginali dal punto di vista del gettito fiscale, a salvaguardia sia dei vacillanti conti pubblici che delle produzioni nazionali.

SACE AfCTA

Un tema fondamentale che permetterà all’AfCFTA di non rimanere una lista di meri buoni propositi riguarda più da vicino gli esportatori italiani: lo sviluppo infrastrutturale. È stato spesso notato come le infrastrutture esistenti siano in gran parte informate alla logica della funzionalità alle esportazioni di materie prime al di fuori del continente. Dall’esigenza di minimizzare i costi logistici tra siti minerari e porti deriva il poco o nessun riguardo dato al collegamento dei principali centri urbani e quindi allo sviluppo economico delle comunità locali. L’AfCFTA può fornire un importante impulso per ridisegnare la mappa delle infrastrutture africane e contribuire anche indirettamente all’aumento della competitività del made in Africa attraverso la riduzione dei costi di trasporto, che attualmente incidono per l’11,4% sul prezzo finale di vendita (contro il 9% medio a livello mondiale). Al contempo, una maggiore integrazione commerciale non potrà prescindere dalla costruzione di un’infrastruttura digitale funzionale all’integrazione dei mercati finanziari e dei sistemi di pagamento, oltre che alla crescente penetrazione dell’e-commerce. Il decollo di un’industria manifatturiera africana costituirà inoltre un fattore di stimolo per le esportazioni di macchinari, tradizionalmente core business delle produzioni italiane nell’area

Realizzare le promesse dell’AfCFTA in un contesto finanziario fortemente deteriorato che rischia di ritardare il ritorno alla crescita sarà la sfida per i policy-maker africani, e non solo, all’indomani della pandemia. 

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