Articoli 11 dicembre 2015

NUOVO CORSO DELL'ORO NERO

I colpi di scena in questo 2015 non sono certo mancati, soprattutto per i mercati emergenti. L’onda lunga dei conflitti in tutto l’arco mediorientale, l’incertezza della crisi russa, la volatilità delle commodity, le difficoltà del Brasile, lo scoppio della terza bolla cinese in sei anni: tra instabilità e tensioni vecchie e nuove, gli equilibri geo-economici sono stati messi a dura prova in tutti i continenti, alzando il velo della tenuta dell’economia reale dei mercati emergenti e della loro domanda di beni e servizi.

 

Inoltre, la discesa repentina del prezzo del petrolio e la sua permanenza su livelli ben inferiori alle attese degli operatori hanno portato nella condizione di “tempesta perfetta” quei Paesi produttori (come Nigeria, Russia, Venezuela) che dipendono in larga parte dalle entrate petrolifere. Non avendo accumulato sufficienti riserve in valuta forte si trovano in una posizione in cui non possono mettere mano a riforme e tagli alla spesa senza il rischio di disordini e rivolte.

 

Non è la prima volta che il prezzo del petrolio crolla in modo così drastico. La particolarità del presente calo è l’offerta di greggio, che rimane sovrabbondante anche grazie alla resilienza dei piccoli produttori shale americani – che hanno ridotto di un terzo il numero dei pozzi attivi senza intaccare troppo la produzione – e dell’Arabia Saudita, che è riuscita finora a convincere i Paesi dell’Opec a non chiuderei rubinetti per mantenere le proprie quote di mercato.

 

In attesa che si disvelino gli effetti dei tagli agli investimenti in nuove attività (-30% su scala globale), la convenienza nel prezzo del greggio ha incentivato l’accumulazione di scorte consistenti, che potranno essere utilizzate dai Paesi importatori in caso di riduzione dell’offerta ma potranno anche ritardare la ripartenza dei prezzi. Non è infrequente sentir parlare di 60 dollari al barile (dai 100 di un anno fa) come il new normal da qui al 2020. Un contesto che porta alla ribalta quei Paesi produttori che hanno saputo diversificare le proprie risorse e attività economiche, ponendo le basi per una crescita sostenibile in un orizzonte di medio/lungo termine: geografie vecchie e nuove che catturano oggi l’attenzione degli operatori economici.

 


Box_Arabia

IL PRIMATO SAUDITA

L’Arabia Saudita condivide con gli Stati Uniti il primato energetico globale e, con esso, il potere di influenzare profondamente la mappa competitiva mondiale. Come gli Usa, il gigante mediorientale è caratterizzato da un sistema consolidato, da barriere all’entrata significative ed è capace di offrire importanti opportunità in termini di scala e di domanda potenziale. Membro principale dell’Opec, ha spinto gli altri membri del cartello a mantenere invariata la produzione e ha alimentato la “guerra dei prezzi”. Da una parte offrendo sconti per contrastare la penetrazione commerciale di altri Paesi e lo sviluppo di nuovi concorrenti, dall’altra mantenendo una posizione ambigua nei confronti dell’Isis e impedendo di fatto a Paesi produttori – come Iraq, Libia e Nigeria – di essere presenti a pieno titolo sui mercati internazionali.

 

Un prezzo basso non serve soltanto a scoraggiare chi cerca il petrolio, ma anche chi lo vorrebbe trasformare. L’Arabia Saudita è al centro di una delle aree a maggior potenziale nei prossimi anni: crescita demografica, aumento della domanda e disponibilità economiche ed energetiche stanno incentivando lo sviluppo di raffinerie e petrolchimici, oltre alla produzione di energia da fonti rinnovabili. I prodotti petroliferi potranno così riversarsi sui mercati del Vicino e Lontano Oriente con margini superiori e senza i lacci delle quote prestabilite Opec sul greggio.

 



CAMBIO DI PASSO PER MESSICO E ANGOLA

La guerra dei prezzi sta lasciando sul campo le ambizioni di molti Paesi emergenti, Box_messicorallentati dai tagli alla spesa pubblica successivi alla revisione dei budget statali o segnati da scandali di corruzione. Alcuni stanno già ripensando il proprio ruolo, altri sono giunti a un punto di svolta: scegliere se rimanere all’ombra dei “grandi” o avviare un vero cambiamento. Uno di questi è il Messico dove, dopo “ottant’anni di solitudine”, tornano i privati. Stiamo parlando del terzo produttore di petrolio nel continente americano, con 2,8 milioni di barili al giorno: un barile su due è venduto all’estero, ma uno su quattro è reimportato sotto forma di carburante. Estrarlo costa in media 26 dollari al barile (18 per l’esplorazione e 8 per la produzione), ma in un decennio il greggio disponibile è diminuito di un terzo: la riforma energetica, promulgata ad agosto 2014 per invertire la tendenza, ha posto fine a un monopolio della compagnia nazionale, Pemex, creata nel 1938, che sta cominciando a dispiegare il suo potenziale.

 

Oggi il Paese rappresenta uno degli scenari più interessanti del Pianeta: sono in corso le prime gare per l’assegnazione a privati di concessioni in mare (shallow e deepwater) e sulla terraferma. Queste ultime potrebbero rivelarsi le più attrattive e ambite nelle fasi iniziali: la prima gara ha, infatti, ricevuto offerte congrue soltanto per due dei quattordici blocchi in acque poco profonde. Le principali major ci sono, singolarmente o in consorzio, anche se hanno assunto per il momento un atteggiamento più cauto del previsto. Proprio per questo, entrare adesso nei diversi comparti di Exploration & Production (E&P) sarà fondamentale per cogliere maggiori benefici dal 2018 in avanti, così come accrescere, insieme a Pemex, la capacità domestica di raffinazione e Box_angolasintesi degli idrocarburi. L’altro colosso latinoamericano, il Brasile, è invece in difficoltà dopo lo scandalo che ha coinvolto proprio la compagnia nazionale Petrobras raffreddando le prospettive di crescita.

 

Ma dall’altra sponda dell’Atlantico, nel frattempo, ecco emergere l’alter ego del Brasile in terra d’Africa: l’Angola. L’ex colonia portoghese, ricca di risorse e in crescita a un tasso medio annuo superiore al 4% dal 2011, punta molto sui legami economici con la Cina. Poco meno di due milioni di barili al giorno di greggio angolano contendono ai sauditi il primo posto come fornitore di Pechino: una politica dei prezzi aggressiva (e un target fiscale basato per il 70% sul greggio) ha consentito al governo di Luanda di tenere i rubinetti aperti nonostante l’azzeramento della domanda statunitense. Le piattaforme fisse e mobili al largo operano dal 1999 in regime di production sharing con la compagnia nazionale. L’obiettivo del governo angolano è mantenere l’asticella stabilmente sopra i 2 milioni di barili al giorno con un costo di produzione entro i 30 dollari: anche in questo caso, l’apporto di tecnologia e raccordi nell’E&P, la ricerca di partner industriali alternativi alle aziende cinesi – che hanno acquisito negli anni la fetta prevalente della catena di produzione – e il potenziamento delle raffinerie locali potrebbero aprire spazi interessanti per le aziende italiane.



I PAESI SCOMMESSA: ALGERIA E IRAN

Da due versanti quasi opposti della lunga dorsale mediorientale, Algeria e Iran sembrano accomunati da nuove prospettive. Ottavo produttore e quarto Box_algeriaesportatore al mondo di gas, l’Algeria nel 2005 produceva sei volte il proprio fabbisogno: il rapporto oggi si è dimezzato, mentre due terzi delle entrate fiscali continuano a dipendere dall’export di idrocarburi. Il potenziamento a lungo atteso del gasdotto tra Spagna e Francia potrà liberare i flussi verso Ovest sia per l’Lng iberico, sia per la produzione algerina: Parigi, Madrid e Lisbona hanno accelerato i tempi per sbloccare la sponda meridionale. Diversi “tappi” rimangono da far saltare: l’atteggiamento della compagnia nazionale verso i privati, la successione alla presidenza dell’Algeria di Abdelaziz Bouteflika, la politica energetica Ue. Vasi di Pandora destinati ad aprirsi nel Paese in cui il nostro export di beni strumentali oggi cresce più che altrove.

 Box_iran

Ma è l’Iran, alla rincorsa del tempo perduto, che si sta accreditando sempre più per diventare la scommessa del futuro per eccellenza. Negli ultimi quattro anni il petrolio esportato da Teheran si è quasi dimezzato (da 2,6 a 1,4 milioni di barili al giorno) e la produzione è diminuita del 17% dai 4,4 milioni di barili al giorno del 2011. La sola Unione Europea ha tagliato le forniture per 600 mila barili al giorno. Il 60% dei pozzi iraniani ha oltre sessant’anni di vita, con percentuali di recupero del greggio dai giacimenti esistenti del 20-30%. La contrazione dei volumi e la necessità di preservare il consenso sociale hanno contribuito a mantenere il livello di pareggio dei conti ben al di sopra dei 100 dollari al barile.

Il greggio persiano è stato nel frattempo sostituito da quello dell’Arabia Saudita, degli Emirati e del Kuwait. La riapertura degli scambi, che dovrebbe acquisire efficacia per il settore petrolifero nella prima metà del 2016, ridarà fiato all’industria che necessita di dotazioni e strutture all’altezza della sfida: in particolare valvole, raccordi, macchinari e impianti per la trasformazione domestica del petrolio e tecnologie di enhanced oil recovery.


 


TANTI TAVOLI SU CUI GIOCARE, POCHE CERTEZZE E UN PARTNER PER LE IMPRESE

Lo shock petrolifero del 2014, per velocità e dimensioni, sta lasciando segni profondi sugli attori coinvolti e ha svelato in molti casi la differenza tra progetti strategici e iniziative congiunturali: effettiva complementarietà delle fonti rinnovabili, sostenibilità di progetti particolarmente complessi, sfruttamento più o meno intensivo delle risorse esistenti, domanda reale e bolle finanziarie.

 

Tuttavia, l’andamento del brent fin dagli anni Settanta ha registrato anche aumenti improvvisi e durevoli, che hanno segnato in misura forse più profonda tutte le economie del Pianeta. Può accadere di nuovo? Abbiamo letto decine di analisi in un senso o nell’altro. Tornerebbe tutto come prima? Su questo possiamo dire qualcosa.

 

Un anno fa la strategia vincente per cogliere margini record era aumentare la produzione, oggi è produrre in maniera efficiente. Gestire e coprire i rischi, concedere dilazioni di pagamento e rendere più fluidi possibili i flussi finanziari lungo la filiera sono diventati aspetti in grado di incidere notevolmente sul prezzo. Mai come in questa fase è importante darsi una strategia commisurata a dimensioni e ambizioni e trovare partner adeguati alla sfida. In SACE siamo pronti ad accompagnare le imprese italiane a cogliere queste opportunità.


Desideri ulteriori informazioni?
Contattaci al numero 06.6736.888
In alternativa invia una mail a [email protected]

Ultime news

Articoli 18 gennaio 2024
PMI, grandi imprese, associazioni di categoria, istituzioni, rappresentanti di gruppi bancari e del mondo universitario hanno partecipato alla quinta edizione del Forum Multistakeholder nella sede di Roma di SACE per ascoltare e raccogliere i diversi punti di vista sulle tematiche ESG. L’obiettivo è quello di indirizzare le proprie strategie verso quelle che sono le reali necessità degli stakeholder.
Articoli 21 novembre 2023
La ‘Casa delle imprese’ on tour: SACE ha aperto le porte delle sue sedi territoriali alle PMI