Casi di successo 01 dicembre 2015

BRUGOLA

Ci sono storie aziendali che andrebbero raccontate con calma. Vite che andrebbero studiate per coglierne per intero il valore. E prese ad esempio.

 

Tra queste, sicuramente, compare la saga della famiglia Brugola, quella dei celebri bulloni a cui hanno dato il nome. Una storia lunga tre generazioni che ha reso questa azienda un vanto dell’industria italiana, dove i dipendenti sono definiti «persone competenti che hanno sposato gli stessi ideali della nostra famiglia».


Quando lo scorso febbraio Giannantonio Brugola è morto, i giornali locali salutavano “l’industriale di vecchio stampo, uno degli ultimi pionieri ‘veri’, e non costruiti con gli artifizi della finanza, che abbia avuto la Brianza. Con lui se ne va un pezzo di città che non era solo mobili, ma operosità, lavoro e squadra”. Il figlio del fondatore aveva ricevuto l’ultima soddisfazione pochi giorni prima della sua morte, quando suo figlio Egidio – omonimo del nonno ma da tutti conosciuto come Jody – gli aveva consegnato la prima vite uscita dalla fabbrica di Detroit, il primo impianto della Brugola fuori dall’Italia. Non solo. In una delle ultime buste paga ricevuta dagli operai della fabbrica di Lissone prima della sua morte, c’erano mille euro in più. Parte della quota era già concordata con i sindacati. Ma a quella somma, i vertici aziendali avevano aggiunto altri 300 euro “come riconoscimento per il lavoro e lo sforzo che ha contribuito alla crescita dell’azienda in questi ultimi anni”.


Un gesto che doveva rimanere privato ma che venne reso pubblico proprio da un operaio. Un premio a un gruppo di lavoro che aveva permesso all’azienda di Lissone, nata nel 1926 grazie alla geniale intuizione del suo fondatore Egidio, di superare un periodo difficile iniziato nel 2009 con la crisi economica. Quello della solidarietà è uno dei principi morali dell’azienda, trasmesso dal fondatore al figlio e da questi al nipote Jody.


Già all’inizio della sua attività, infatti, il fondatore aveva istituito per i suoi dipendenti una mensa gratuita; alla fine degli anni Quaranta, quando le comunicazioni erano molto difficoltose, offrì gratuitamente al personale una bicicletta e negli anni Cinquanta diede uno scooter a tutti i capi reparto e una Fiat Seicento a tutti i direttori. Oggi, il cruccio di Jody Brugola è la questione ambientale: «È il problema più importante del nostro tempo, i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti: dalle temperature altissime alle piogge torrenziali e improvvise.


L’inquinamento è un problema terribile, che si ripercuote in maniera determinante anche sul nostro lavoro» perché – come ci tiene a ribadire – «un’azienda per quanto grande e di successo come la nostra non è solo numeri, ma è composta da persone con la loro capacità di lavorare». La storia della dinastia della brugola inizia nel 1926 quando la Oeb (Officine Egidio Brugola) viene fondata da Egidio. Genialità, amore per l’innovazione e la tecnologia, spirito pionieristico, qualità assoluta (il motto «spirit of excellence» campeggia ovunque in azienda) sono alcune delle parole che spiegano il fenomeno Brugola. Un fenomeno frutto di un’intuizione, quella di fabbricare viti a esagono incassato, una tipologia di vite che all’inizio del secolo esisteva già ma che all’epoca era considerato un prodotto molto esotico.


Ma il fondatore credeva talmente tanto nella sua creatura che anni dopo ne depositò il brevetto. E il tempo gli diede ragione, perché questa vite era così rivoluzionaria che trovò piena applicazione soltanto quarant’anni dopo. Nel 1927 iniziò la produzione in serie e abbastanza in fretta vi fu una progressiva identificazione del prodotto con il nome del fabbricante tanto che in Italia per antonomasia è conosciuta come “vite Brugola”. Come Biro, Gillette e Diesel, Egidio Brugola è uno dei pochi ad aver dato il proprio nome a un oggetto di uso comune.


Non si pensi però a Brugola come la piccola azienda familiare che cerca di sopravvivere alla concorrenza internazionale. Non è così. Brugola ha fatturato 125 milioni di euro nel 2013, ha oltre 300 dipendenti in due stabilimenti italiani e undici centri logistici sparsi nel mondo. Dalla fabbrica di Lissone escono sette milioni di viti ogni giorno e ne vengono prodotte ottocento differenti tipi. Ora, la nuova sfida si chiama Stati Uniti, dove lo scorso marzo la società italiana ha aperto il primo centro di produzione all’estero. «Nessuna delocalizzazione», precisa Jody che sottolinea come il suo vanto maggiore è proprio quello di creare una struttura gemella a quella italiana nella patria della tecnologia. Sono proprio cinque dipendenti italiani che stanno trasferendo il know how aziendale al personale statunitense. «È la sfida più affascinante che ci aspetta», aggiunge il presidente, «e che non sarebbe stato possibile portare a compimento senza l’intervento di SACE, protagonista della seconda parte del nostro progetto negli Stati Uniti». La società infatti, ha garantito un finanziamento del valore complessivo di 6 milioni di euro finalizzato proprio a sostenere lo sviluppo dell’azienda in Nord America che si rivela altamente strategico per poter servire al meglio il mercato delle grandi case automobilistiche americane. «La sfida degli Usa», aggiunge Brugola, «nasce dal fatto che ora vogliamo avvicinarci il più possibile al cliente».


Oggi, un’automobile su quattro contiene nel proprio motore viti “Brugola”. Ford e Volkswagen i clienti più importanti dell’azienda, ai quali da luglio si sono affiancate Mercedes e Bmw. Il meglio della motoristica mondiale. Una scelta nata a metà degli anni Ottanta, quando Giannantonio Brugola, papà di Jody, capisce che i vecchi prodotti, viti abbastanza “semplici”, avrebbero fatto fatica contro l’Asia che avanzava a prezzi stracciati. Decide quindi di investire in ricerca, riconvertendo l’azienda alla produzione di viti super-tecnologiche per i motori dell’industria automobilistica. Gli sviluppi di competenze specifiche e approfondite sui motori hanno portato Brugola a specializzarsi nella produzione di viti critiche, ossia viti dedicate al montaggio dei componenti vitali del motore. In ogni motore sette tipi di viti su settanta sono definite critiche, cioè determinanti per il raggiungimento delle sue prestazioni. Una nicchia conquistata dall’azienda brianzola.



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