Casi di successo 11 dicembre 2015

CHANTECLER

In Colazione da Tiffany, Audrey Hepburn diceva che «Un uomo si giudica dagli orecchini che ti regala». Lo sa bene Chantecler, il marchio di gioielleria di lusso Made in Italy che da settant’anni produce alta gioielleria per una clientela selezionata e che si apre finalmente ai mercati esteri, conquistando una sensibile fetta di mercato grazie anche alla sua presenza all’ultima Fiera di Basilea.

 

La storia di questa azienda affonda le radici in un Novecento appena uscito dalla guerra, nel 1947, quando sull’isola di Capri due amici si mettono in società. Il primo si chiamava Pietro Capuano, un dandy, erede di una nobile famiglia di gioiellieri napoletani, soprannominato da tutti “Chantecler” per la sua abitudine di festeggiare fino alle prime luci dell’alba. L’altro era Salvatore Aprea, un giovane caprese che, nonostante gli studi in Giurisprudenza, decideva di dedicare la sua vita all’arte e all’alta gioielleria. «Siamo un’azienda con una storia un po’ particolare», confessa Gabriele Aprea, figlio di Salvatore, dal 1994 alla guida della società insieme alle sorelle Maria Elena e Costanza. «Pur essendo un marchio di alta gioielleria, Chantecler non proviene dai luoghi iconici come Roma, Milano, Parigi o New York. E questo, senza dubbio, è un fatto atipico».

 


Cosa ha spinto i vostri fondatori a far nascere l’azienda?

 

«Si resero presto conto che Capri aveva un potenziale elevatissimo, soprattutto per via dello stile “dolce vita” che si stava sempre più stabilendo nell’isola. Il ragionamento portante è stato che, se si voleva raggiungere la clientela top, bisognava differenziarsi, proponendo un prodotto elevato, alternativo, anticonformista. E loro erano esattamente così. Perciò, se abitualmente un filo di perle era bianco, loro lo realizzavano nei colori naturali, ora champagne, ora grigio; e se le perle dovevano essere perfettamente sferiche, ecco che venivano montate nelle forme originali, a goccia. È stato così che raggiunsero, un giorno, anche le star dell’epoca, da Ingrid Bergman a Jackie O, consacrando definitivamente Chantecler come un marchio di alta gioielleria».

 


Dunque Capri è l’origine di tutto, qual è il vostro rapporto con il territorio?

 

«Fondamentale! A Capri energie, colori e profumi creano quotidianamente qualcosa di irripetibile e straordinario che noi, con amore, abbiamo trasformato in gioielli. Oggi Chantecler non sarebbe la stessa azienda se non ci fosse stata l’isola. Oltre a essere fulcro del nostro equilibrio, è stata ed è ancora anche il centro di un mondo che decide gli stili e che segna i tempi. La nostra terra è da sempre luogo d’incontro dei personaggi più influenti, dagli imperatori romani alle dive da copertina, fino agli intellettuali e ai grandi uomini politici. Tutte influenze che le donano quello spirito internazionale che la rende così speciale e che a noi ha regalato il privilegio di poterci crescere. Tuttavia, oggi, il nostro viaggio nella gioielleria ci ha condotti fuori da quel mondo: da Capri a Milano. La vocazione all’emigrazione è il destino dell’isolano, e noi ci adeguiamo a quello che è il nostro percorso. È una consapevolezza che ci portiamo sin dalla nascita, ma che ci dà una forza e una capacità straordinaria all’adattamento».

 


Come gestite i vostri competitor?

 

«Beh, in una certa misura non ne abbiamo. Non si tratta di presunzione», spiega, «ma di reale esigenza. Se facessimo qualcosa di simile ai nostri “colleghi” non venderemmo, in quanto tutti i prodotti e le fasce di prezzo sono presidiate dai grandi brand. Ne verremmo fagocitati. Perciò noi facciamo un prodotto che sia solo nostro, che sia per pochi, ma non per troppo pochi. Chi è che diceva, “Distinguersi o estinguersi”?».


 

Il vostro percorso parte da un piccolo nucleo, quello familiare, e si perde nel mondo…

 

«Sì, è vero. Ma ci siamo ingranditi inizialmente solo sul territorio italiano. Siamo una media azienda che fa beni di lusso e siamo arrivati ad aprire a Cortina e a Milano, conquistando oltre 130 punti vendita in tutta Italia. Tuttavia, appartenendo a un mercato di nicchia, la crisi ci ha colpito duramente, tanto quanto altre realtà, e, se da un lato abbiamo cercato di contenere i costi, dall’altro abbiamo sentito immediato il bisogno di internazionalizzare per spingere il nostro prodotto oltre confine. Con il supporto di SACE abbiamo avuto la forza di investire nei mercati ad alto potenziale. È stato studiato un format di boutique monomarca di lusso in franchising e oggi siamo presenti a Hong Kong, Tokyo e Astana. Ci stiamo interessando ai mercati dell’Est Europa e siamo tra i marchi della Fiera di Basilea. Grazie all’appoggio determinante di SACE, abbiamo avuto la possibilità di capire quale fosse la strada giusta, cominciando a sentire la differenza tra il bilancio italiano e quello estero, che oggi conta rispettivamente un 80% e un 20% sul totale e che puntiamo a trasformare in 50 e 50. La nostra produzione resta 100% Made in Italy, dividendosi tra Napoli e Valenza Po, distretto orafo di prestigio dove anche Bulgari ha sede e dove noi confezioniamo sia le collezioni di alta gioielleria che quelle di prêt-à-porter. Riuscire a fare impresa di qualità in Italia, infatti, per noi è un valore aggiunto, la qualità delle nostre maestranze e delle tradizioni dà un prestigio senza precedenti».

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