Articoli 24 settembre 2015

ALTRO CHE PACCO

Il 2014 è stato un anno record perle imprese italiane del settore delle macchine per il confezionamento e l’imballaggio: hanno superato i 6 miliardi di euro di volume d’affari, grazie al traino dell’export, che pesa per oltre l’82% del fatturato totale.

 

È un quadro, quello che esce dall’ultimo rapporto dell’Ucima, l’associazione dei costruttori di macchine per il confezionamento e l’imballaggio, di cui andar fieri. I macchinari per il packaging si confermano il settore più importante dei beni strumentali italiani, rappresentandone il 22% del fatturato e il 24% dell’export. La maggior parte delle imprese è localizzata in Emilia Romagna, la cosiddetta Packaging Valley, seguita da Lombardia, Veneto e Piemonte. Mentre il mercato domestico dà segnali di ripresa importanti e l’instabilità in diversi Paesi impone cautela, il quadro complessivo resta positivo. All’estero le imprese italiane del settore continuano a giocarsi la partita per la supremazia con la Germania, primo concorrente: un confronto che si fa serrato soprattutto nel campo dell’innovazione tecnologica.

Packaging

 

È su questo che punta per distinguersi il Gruppo Weightpack, specializzato nello sviluppo e costruzione di macchinari e impianti per l’imbottigliamento di prodotti che vanno dal dairy ai juice, dall’home care al personal care, dall’olio alimentare a quello lubrificante, dalle salse alle polveri. «Alcuni prodotti, come il latte a lunga scadenza o i succhi di frutta, vanno imbottigliati a freddo, in ambiente asettico come una sala operatoria, ma con tempi di sterilizzazione molto più rapidi», spiega Andrea Corniani, Amministratore Delegato dell’azienda multinazionale (con sede italiana a Goito, in provincia di Mantova, e sede statunitense a Powhatan, in Virginia).

 

In un settore dove i principali competitor sono francesi e tedeschi, ma non solo, il segreto del successo ha molte facce e contempla anche diversificazione di mercati e prodotti. Weightpack, nata solo nel 2002, è molto cresciuta in Nord e Sud America, ha avviato una joint venture in India e ora sta strategicamente investendo in Asia e nell’area del Golfo per accompagnare, con le proprie innovanti tecnologie, l’aggiornamento qualitativo e l’espansione quantitativa per consumatori e produttori.

 

SACE e Cariparma, del Gruppo Crédit Agricole, hanno da poco finalizzato il terzo finanziamento in successione, del valore complessivo di 2,4 milioni di euro, per assistere un’importante operazione proprio di Weightpack in Europa, specificamente nel mercato spagnolo. Il cliente è una primaria società del settore dei juice e in forte crescita grazie a una marcata diffusione internazionale.

 

Per il settore l’Unione europea rimane l’area principale di esportazione: assorbe circa il 33% del Made in Italy, a cui segue l’Asia, con il 24%, e il continente americano, con il 12%. Ma anche l’Africa ha preso a fare passi da gigante, soprattutto nella richiesta di macchine per il beverage, tanto da tallonare bacini storici come Francia e Germania: «L’Africa sta diventando più importante dell’Europa», commenta Giuseppe Lesce, il Presidente di Ucima.

 

Lo sanno bene in Ave Technologies, l’azienda veneta attiva nella progettazione, costruzione e commercio di macchine e impianti per l’imbottigliamento e il confezionamento, che da qualche anno ormai ha deciso di puntare sul continente africano, in particolare sul Kenya. «Questo Paese è per molti versi il traino dell’Africa orientale», spiega il presidente Vittorio Della Toffola. «Già dai primi anni Settanta, Ave Technologies ha cominciato a spingersi verso mercati esteri promettenti, lavorando con importanti partner in tutto il mondo. La scelta del Kenya non è stata solo un caso fortunato, ma ha consentito di mettere le basi per una vera e propria strategia d’espansione nell’area. Riteniamo, infatti, che per gli impianti beverage ci sia un mercato in crescita in tutta l’Africa proprio perché aumenta il consumo di acqua e bevande in bottiglia».

 

Frontiere interessanti possono essere approcciate anche da imprese di dimensioni ridotte, a patto di partire ben attrezzati, con dei validi partner. Le imprese italiane del packaging sono per lo più di piccole dimensioni: circa il 70% non supera i 5 milioni di euro di fatturato e contribuisce solo per il 10% al totale del fatturato; sono invece soltanto il 6,8% le aziende con ricavi superiori ai 25 milioni di euro, pur rappresentando la quota più significativa, il 63,8% del volume d’affari complessivo. Le aziende più piccole realizzano più della metà del proprio giro d’affari (50,3%) sul mercato italiano, quota che diminuisce con l’aumentare della dimensione aziendale.

 

Su una produzione mondiale di macchine per il confezionamento e l’imballaggio che vale circa 31 miliardi di euro, l’Europa pesa per un 50% e Italia e Germania arrivano assieme sul filo di lana, rappresentando un migliaio di imprese e il 36% dei volumi – poco più di 11 miliardi di euro – equamente suddiviso tra i due Paesi. «Per fatturato, redditività, export, occupazione la partita con la Germania si chiude di fatto in parità», sottolinea ancora Lesce, «e giocata sull’alta qualità e la tecnologia avanzata. Mentre c’è un abisso tra noi e i tedeschi per dimensioni, con le imprese germaniche di stazza doppia rispetto a quelle italiane. Ma è anche vero che se noi giocassimo sul terreno tedesco e non su quello sconnesso italiano, non ci sarebbe più partita».

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